Per il primissimo articolo di Generalmente, potrei far sfoggio di motivazione, capacità, un background professionale che dica “Hey, guardami, scegli me!“. E invece no.
Qui scrive Lara, alla regia di una fase d’avvio piena di rocambolesche avventure.
Parliamo di Generalmente, e più precisamente di GeneralQuasi.
Perché, quando avvii un progetto che per te è fondamentale e sei tra i calcinacci dei Lavori in corso, ti trovi ad attraversare cinque fasi molto simili a quelle del cordoglio – ovvero all’elaborazione del lutto.
1. Negazione/Rifiuto: il primo Business Plan
Chi ha già valutato di aprire Partita Iva, creando un’impresa o dandosi alla libera professione, saprà a cosa mi riferisco.
Per i “profani”, si parla di Business Plan quando si effettua una previsione del potenziale di un’idea o attività, ovvero si va a redarre un documento per valutare la fattibilità di un progetto, individuando strategie, obiettivi e mezzi per raggiungere detti obiettivi – inclusi, ma non limitati a quelli economico-finanziari (attenzione: è ben diverso dal concetto di budget).
Quindi, è la mappa delle idee imprenditoriali, con i percorsi che portano dallo spunto alla loro realizzazione concreta.
Chiarito tutto ciò, cosa succede quando l’imprenditore o freelance wannabe inizia a creare il primissimo business plan?
Messo di fronte al dover scrivere, per filo e per segno, in cosa consisterà la propria attività lavorativa, il libero professionista in questione sarà in preda a una montagna russa d’emozioni.
Si passerà dal “Oh mio Dio, sto davvero facendo questa cosa, che meraviglia!” al “No, no, no, non è possibile che ci voglia così tanto per sviluppare tutto“, per poi andare a sbattere mestamente la testa sul pilastro in cemento del garage, al grido di “NON STA SUCCEDENDO A ME“.
Quindi, ecco delinearsi la fase di negazione: il Business Plan, come il cucchiaio di Matrix, non esiste, tu sei il Business Plan.
Benvenuto nella tana del bianconiglio.
2. Rabbia: i ritardi burocratici, informatici e pratici (un sacco di -atici)
Dopo esserti convinto che sì, questo progetto s’ha da fare, devi farti forza e prendere in mano tutta la trafila burocratica, dalle consulenze commerciali all’attribuzione della Partita Iva, se non addirittura l’inserimento al registro imprese.
Se tutto va bene, sarai felice e pronto a pagare le tas intraprendere la tua attività. Se va bene.
Ma siamo nel 2017 e, soprattutto con i mestieri creativi come quello della sottoscritta, c’è molto più di cui curarsi, oltre all’ottenimento della famigerata P.Iva – in compagnia di Sorella Ansia, che fa parte del pacchetto completo.
Partiamo quindi da aspetti di marketing e auto-promozione, nonché sviluppo del sito web e dei canali social media correlati.
Ti accingi a registrare il dominio, ma ti rendi conto che ancora non hai valutato per bene l’Hosting a cui affidarti, quindi perdi ore nel comparare tutto, chiedendo un’opinione persino al cugino della bisprozia del nipote del fratello acquisito, pur di essere sicuro dell’investimento.
Poi, definito questo aspetto, ti impunti sul voler sviluppare per conto tuo design e struttura del sito, con l’aiuto di un Template. E che sarà mai?
I plugin iniziano a non collaborare, una colonna si sfasa, il supporto alla composizione della pagina ti blocca il Browser e l’host ancora non ha registrato quel maledettissimo indirizzo PEC. La zanzara che non accenna a lasciarti in pace è l’ultima goccia che scatena la tua rabbia.
Una catena di eventi che ti porta di nuovo sulla colonna del garage, stavolta in preda a un’irrefrenabile furia, che ha spaventato perfino il gatto.
3. Negoziazione: “Dai che poi le cose andranno a posto”
Se prendi la decisione di “metterti in proprio”, di solito sei fornito di una discreta dose di razionalità. Fai quindi appello al tuo pragmatismo, per calmarti e respirare a fondo.
Dopo una sessione di autoanalisi, vai a cercare il gatto e ti metti a negoziare delle condizioni con te stesso, comprendendo che è normale fare fatica, durante l’avvio di un’attività. Il divertimento arriverà dopo, quando potrai fare quello che più di piace.
Bando alle ciance, alle frigne, e alla colonna del garage. Pian piano, le cose si sistemeranno, l’importante è rimanere focalizzati sull’obiettivo.
La parola d’ordine è risultati, per i quali serve tanta concentrazione e lavoro, lavoro, lavoro. Con diligenza, riprendi in mano tutto quello che non andava, lo rigiri e cerchi di ottimizzarlo il più possibile.
Tutto sembra finalmente procedere per il meglio, ma vista la tua sensibilità aumentata all’ennesima potenza, un minimo cambiamento nel tuo ambiente e sei pronto alla fase successiva.
4. Depressione: “Col fischio che vanno a posto, odio tutto e tutti”
La razionalità non è che una tra le tante capacità nel tuo ventaglio e, spesso e volentieri, lascia spazio a ben altro. Per esempio, all’autocritica e alla demotivazione.
Dopo esserti concentrato, ti ricordi di avere la capacità di distrazione di un cane davanti agli scoiattoli. Perdi il filo, cerchi di raccogliere l’ispirazione facendo brainstorming e scrivendo sui muri, sui post-it, ovunque ti capiti.
Prima di arrenderti al blocco creativo, per schiarirti le idee, esci di casa e incontri persone. Persone che hanno un lavoro fisso, che mettono su famiglia, che hanno raggiunto il vertice del proprio settore.
In questo momento, ti scorre tutto davanti e ti fai cogliere da un’ondata di depressione: ma quali competenze voglio vantare? Perché continuo a insistere, se non ottengo risultati? Come faccio a resistere un anno e mezzo per vedere l’ultima stagione di Game of Thrones?
Lo sconforto accompagna quasi tutti i picchi negativi del ciclo emotivo di ogni start-up e, a onor del vero, non lo credevo così concreto fino a quando non ho iniziato a provarlo sulla mia pelle.
A distanza di mesi dalla conferenza in cui l’ho conosciuta, adesso riesco a capire cosa intendesse Pip Jamieson (fondatrice di The Dots) quando ha ammesso che l’avvio del Brand è stato il momento più basso e complicato della sua intera carriera.
Il passo successivo? Intraprendere la quinta e ultima fase.
5. Accettazione: “Sei un essere umano, respira e prenditi un caffè”
Una delle concezioni comuni è che per aprire un’impresa o lavorare come libero professionista serva un atto di coraggio.
Per quanto la stima delle persone possa essere molto incoraggiante, trovo che sia molto faticoso cercare di soddisfare continuamente le aspettative, soprattutto se uniamo quelle altrui alle nostre.
Se riteniamo che l’attività in proprio sia al pari delle 12 fatiche erculee, rischiamo di sentirci costretti ad essere eroi e a percepire gli ostacoli che incontriamo come nostre incapacità, invece che come normali giri di boa.
Il princìpio da tenere a mente, quindi, è tanto semplice quanto profondo: siamo esseri umani.
Difficilmente il primo tentativo risulta vincente, a meno di essere dei fenomeni – e i fenomeni sono le eccezioni, non la norma.
Quindi, quando lo sconforto impera, prendiamoci un attimo di tempo per lasciare tutto da parte. La tecnica può variare, ma i grandi classici sono sempre questi: un respiro profondo, un buon libro, un caffè o un afternoon tea – magari con due biscotti o un tramezzino al seguito.
Oppure, se volete essere originali, inaugurate la sezione “Blog” del vostro progetto, con un pizzico di ironia.
E per amor del cielo, lasciate in pace quel povero pilastro in cemento!